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🔊 Ascolta l’Esperto | Crisi d’impresa e adeguati assetti organizzativi: le sinergie con i Modelli organizzativi ex D.lgs. 231/2001

Pubblicato il 23 gennaio 2023

 

 

 

A cura dell’Avv. Fabrizio Ventimiglia e dell’Avv. Marco Marengo

 

Il D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 13, ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano il nuovo “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155.

Come è noto, anche per ragioni di opportunità dovute al diffondersi della Pandemia da Codivd-19, l’effettiva entrata in vigore del Codice è stata rinviata fino al 15 luglio 2022, peraltro con un testo ampiamente riformato dal D.lgs. 83/2022, di recepimento della Direttiva UE 2019/1023 (c.d. “Direttiva insolvency”).

In ogni caso, tale riforma ha segnato un radicale cambio di prospettiva rispetto al passato. Il nuovo sistema normativo, infatti, accoglie un approccio preventivo orientato alla conservazione dell’Impresa, discostandosi dalla precedente impostazione ancorata sulla centralità della risposta sanzionatoria.

A questo proposito è utile osservare come il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, trattando degli adeguati assetti organizzativi di cui le imprese sono tenute a dotarsi, si richiami all’esperienza positiva dei c.d. “compliance program”: discipline che incentivano le imprese a dotarsi di modelli di governance ispirati alle best practice di settore, allo scopo di ottenere una concreta limitazione dei rischi derivanti dallo svolgimento delle proprie attività.

In questo contesto l’esperienza più nota e consolidata è probabilmente quella del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, che disciplina la responsabilità amministrativa da reato degli enti. Per ulteriori esempi basti pensare a quanto previsto dal Regolamento UE 2016/679, c.d. G.D.P.R., ma anche dalla normativa antiriciclaggio, contenuta nel D.lgs. 21 novembre 2007, n. 231. Ciò che hanno in comune queste e altre analoghe discipline è infatti il c.d. risk based approach, in virtù del quale l’ente è chiamato a identificare i rischi relativi alla propria attività e ad attivarsi al fine di presidiarli in modo adeguato e coerente alle proprie dimensioni e al contesto operativo di riferimento.

Così come il D.lgs. 231/2001 si pone l’obiettivo della prevenzione dei “reati presupposto”, il Codice ha infatti lo scopo di incentivare l’impresa ad adottare sistemi virtuosi per la prevenzione dello stato di insolvenza. A tal fine, analogamente a quanto accade nell’ambito del D.lgs. 231/2001, il legislatore prevede:

  • l’adozione di un assetto organizzativo e di appositi sistemi di segnalazione idonei a contrastare il rischio d’insolvenza e a far emergere tempestivamente situazioni di allarme;
  • l’attribuzione ad organi di controllo indipendenti del compito di vigilare sul funzionamento dell’assetto organizzativo e a vagliare eventuali alert relativi allo stato della società;
  • misure premiali per le imprese che abbiano investito nella compliance, approntando adeguati strumenti di prevenzione e segnalazione delle eventuali situazioni di insolvenza.

Tali interventi normativi che si pongono il comune obiettivo di salvaguardare sotto diversi profili l’integrità di una impresa sollecitano una riflessione sulla possibilità – se non sull’opportunità – di iniziare a ragionare in ordine alla necessità di una gestione integrata tra i diversi sistemi di compliance.

Sotto tale profilo, si pensi ad esempio come il Modello organizzativo di gestione e controllo ai sensi del D.lgs. n. 231/2001, adottato ai fini della prevenzione dei “reati presupposto”, debba necessariamente prevedere specifiche procedure in materia di gestione dei flussi finanziari, gestione della contabilità e del processo di redazione e approvazione del bilancio di esercizio, oltre che in materia di adempimenti tributari; procedure che, se predisposte secondo un approccio integrato ai sistemi di compliance, potrebbero risultare altresì idonee alla tempestiva emersione di eventuali situazioni di insolvenza, così come richiesto dal nuovo Codice della Crisi d’Impresa.

Da un lato, allora, la preventiva adozione di un Modello organizzativo ai sensi del D.lgs. 231/2001 agevolerà l’Impresa nell’implementazione degli adeguati assetti organizzativi previsti dal Codice e, dall’altro, tali misure andranno a integrare e a rafforzare l’idoneità dei presidi adottati allo scopo di prevenire i c.d. “reati presupposto”.

Questa prossimità, peraltro, non è priva di rischi. Se non attentamente coordinati tra loro, infatti, i due sistemi normativi rischiano di sovrapporsi, generando inutili – se non dannose – duplicazioni di procedure, regolamenti e controlli. È la “sfida” della compliance integrata: più crescono e si diffondono soluzioni normative ispirate al modello dei “compliance program” e più aumentano i rischi di antinomie.

Da questo punto di vista, con specifico riferimento al rapporto tra gli assetti organizzativi per la prevenzione della Crisi d’Impresa e i Modelli organizzativi adottati ai sensi del D.lgs. 231/2001, un primo sforzo di coordinamento e reciproca integrazione potrebbe riguardare il tema dei controlli. In particolare, è auspicabile che l’Organismo di Vigilanza, nominato ai sensi del D.lgs. 231/2001, e gli organi di controllo di cui all’art. 14 del Codice della Crisi d’Impresa instaurino un rapporto di costante collaborazione, allineando le rispettive attività di verifica.

Per favorire l’efficiente circolazione delle informazioni, inoltre, le segnalazioni di situazioni o fattori di allerta, nonché lo stesso ricorso alle procedure di composizione della crisi d’impresa previste dal Codice, dovrebbero essere rese oggetto dei flussi informativi verso l’Organismo di Vigilanza. A sua volta, quest’ultimo dovrebbe periodicamente aggiornare gli organi di controllo di cui all’art. 14 del Codice in ordine ai controlli effettuati sul funzionamento del Modello organizzativo adottato ai sensi del D.lgs. 231/2001, particolarmente nell’ambito dei processi relativi alla gestione degli adempimenti societari e fiscali.

Le soluzioni per l’efficace coordinamento dei diversi sistemi di compliance dovrebbero quindi muovere, a nostro avviso, dall’utilizzo di un approccio che consideri tali sistemi normativi non come meri adempimenti formali, distinti e autonomi tra loro, bensì quali componenti di un unico assetto organizzativo, complessivamente finalizzato alla gestione dei rischi aziendali.

Solo in questo modo è possibile scongiurare eventuali antinomie e inutili sovrapposizioni, migliorando l’efficacia e la sostenibilità delle misure adottate e degli investimenti effettuati nell’implementarle.

 

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